Nel IX secolo questa zona era fuori dalle mura di Genova, scarsamente popolata e coltivata ad orti e vigne. Qui, nei pressi di una delle porte cittadine, vicino alla foce di un torrente, sorgeva da epoca imprecisata la chiesetta di San Pietro, lungo la via che dalla porta conduceva ad ovest, verso l’agglomerato del Burgus.
La chiesa costituiva una delle costruzioni più antiche della zona: pare infatti che durante le demolizioni cinquecentesche fossero emersi resti di “antichi idoli” risalenti ad un più antico tempio pagano. Si ha testimonianza di una statua di Giano bifronte, la cui figura intreccia la leggenda della fondazione della città di Janua (“porta”, poi divenuta “Genova”).
Dal X secolo l’area di Banchi emergeva come importante piazza commerciale cittadina, nel XII secolo ospitava uno dei tre grandi mercati della città, quello del grano, e nei documenti del XIII secolo viene indicata come “piazza dei banchieri” (platea Nummulariorum).
La tradizione vuole che qui si radunassero a pregare i crociati prima di partire per la Terrasanta. Sembra inoltre che per secoli sia stata la chiesa prediletta dai marinai genovesi: vicinissima alla spiaggia e dedicata all’apostolo pescatore, Pietro; dalla piazza avveniva l’annuale benedizione del mare con le ceneri del Battista.
Fra il 1155 e il 1559 viene eretta la cinta muraria detta del Barbarossa, che include la chiesa all’interno della città. La vicina porta però non scompare del tutto e diventa un archivolto ancora oggi esistente. L’antica chiesa di San Pietro si trovava su un’area corrispondente all’attuale civico 3 rosso di via San Pietro della Porta, e l’ingresso era orientato verso la marina. Dal 1190 i Consoli dei Placiti vi amministrano la giustizia per tre mesi all’anno, alternandosi nelle chiese di Santa Maria delle Vigne e di San Siro.
Alla fine del XIV secolo la città è scossa da numerosi tumulti e in seguito dalla lotta fra guelfi e ghibellini, che causa il danneggiamento della piazza, dei banchi e delle case di illustri famiglie genovesi come Maloncello, Lercaro, Negroni, Di Negro, De Marini.
Nella prima metà del 1500 si moltiplicano gli investimenti immobiliari e la piazza è oggetto di un generale rinnovamento architettonico e urbanistico. I portici dei nuovi palazzi Di Negro ospitano gli scranni dei banchieri, “i banchi”, e la pietra semicircolare da cui vengono letti i bandi della Repubblica.
Addossate alla chiesa crescono le botteghe, che nel tempo indeboliscono drasticamente la struttura, portandola allo stato di rudere. Nel 1568, dopo varie lamentele, il Senato ottiene di procedere con la demolizione. Sono ancora conservati in archivio gli elenchi degli operai, “rompitori” e “camalli” per il trasporto delle pietre, e si ha notizia della conservazione di parte del materiale della demolizione, di cui si lamentano i furti notturni.
Si inizia a studiare una diversa ricollocazione della chiesa e vengono presentate quattro proposte. Nel 1570 la chiesa e gli edifici prossimi risultano demoliti per consentire le modifiche urbanistiche; a periziarne il valore è l’architetto camerale Bernardino Cantone, che si occupa anche di redigere il progetto di ricostruzione. Il Comune avrebbe mantenuto lo juspatronato della cappella dell’Immacolata e la proprietà della terrazza anulare e dei campaniletti in facciata, mentre la restante parte resterà sempre condivisa con la parrocchia.
Mentre lentamente inizia la costruzione delle fondamenta, nel 1579 a Genova si scatena la peste, che in tre anni causa la morte di 28.250 persone. Mentre infuria il morbo, tre padri cappuccini del convento di Santa Barnaba, dopo aver passato una notte in penitenza e preghiera, hanno una visione della Immacolata Concezione, che comunica loro che avrebbe fatto cessare la peste qualora il Senato avesse innalzato un pubblico voto di onorarla in perpetuo con solenne processione l’8 dicembre, e con l’erezione di un tempio: tale visione fu descritta al Senato.
Il voto di riedificare la chiesa di San Pietro con la promessa di condurvi la processione fu solennemente innalzato in San Lorenzo il 22 maggio 1580, presente il Cardinale con il clero, il Doge Nicolò D’Oria, il Senato, i Maggiorenti ed il popolo. Sono quindi eletti tre commissari per sovrintendere i lavori, che sono finanziati dai Padri del Comune.
Tuttavia, essendo necessario reperire contemporaneamente i finanziamenti per l’edificazione della loggia di Banchi, mentre la pubblica spesa era già gravata da altri interventi, come l’ampliamento e la sistemazione di Palazzo Ducale, si ritenne di “cavarlo da quelle botteghe e siti che si potranno vendere ed affittare e che resteranno sotto” e di aumentare le tasse ai cittadini genovesi.
A portare a compimento il progetto è l’architetto camerale Andrea Ceresola, detto il Vannone. I costruttori si ispirano alla chiesa di Santa Maria in Carignano di Galeazzo Alessi, soprattutto per il disegno dei campanili angolari, ma in generale la chiesa risulta di concezione nuova e originale. Ha orientamento diverso da quella medievale, per consentire l’affaccio del prospetto principale su piazza Banchi, e realizzata con l’ingresso sopraelevato rispetto al piano delle botteghe. Il progettista sceglie di non sfruttare tutto lo spazio disponibile, poiché la chiesa occupa solo la parte centrale, circondata da una terrazza pubblica, che le dà maggiore respiro e consente dall’esterno una buona percezione del monumento.
Strutturalmente si tratta di un modello staticamente complesso per sfruttare al massimo lo spazio: sono ridotti al massimo gli spessori murari, e i pilastri verso la facciata sono cavi per ospitare le scale a chiocciola che consentivano l’accesso alla cantoria, ad una terrazza sulla facciata ed ai due campaniletti. La facciata si apre con una loggia a tre volte, su cui poggiava un solaio che un tempo sporgeva leggermente sulla chiesa, creando una cantoria su due ordini che ospitava l’organo, i musici e il coro per le solenni celebrazioni dell’Immacolata.
I tre campanili avevano comunque una giustificazione pratica: il maggiore, affacciato sulla nuova piazza de Marini, era di uso parrocchiale, mentre i due minori prospicienti la nuova piazza Banchi ospitavano le piccole campane e i quadranti dell’orologio comunale, che scandivano l’orario di contrattazione della vicina borsa.
I lavori che seguono la posa ufficiale della prima pietra vengono eseguiti con “forniture di calce di Sestri Ponente” e “arena di Sampierdarena” e “pietra di Finale lavorata” per le botteghe al pian terreno.
Nel 1583 vengono vendute le 28 botteghe attorno alla chiesa.
Il nuovo titolo dell’Immacolata non ha molta fortuna, perché il popolo continua a chiamare la chiesa San Pietro della Porta o San Pietro in Banchi.
Le annuali cerimonie di commemorazione del voto sono particolarmente sontuose: il Doge entrava nel tempio e inginocchiato su un genuflessorio riccamente ornato e sormontato dal baldacchino dogale, ascoltava la Santa Messa solenne, che celebrava il Prevosto di San Pietro servito da due cappellani, accompagnati dai musici del palazzo, che per l’occasione si spostavano dalla cappella musicale del Doge a Palazzo Ducale.
Sulla scalinata, dove nel 1682 viene ucciso il famoso musicista Alessandro Stradella, pugnalato per mano dei sicari assoldati dai Lomellini.
Si susseguono anni di rinnovi, sia dei decori sia delle strutture, mentre il patrimonio dei beni mobili e degli arredi cresce. Un documento del 1692 testimonia l’uso dei bottegai sottostanti di invadere la sede stradale con banchi e tettoie di legno fino ad intralciare il passaggio delle carrozze.
Nel 1748 si decide di ampliare la canonica nella parte verso la facciata, che assume così il suo aspetto definitivo, con l’eliminazione della grande terrazza e l’aggiunta di un ordine di finestre.
Scalinata e terrazzi erano senza dubbio un affaccio privilegiato sulla piazza: nel Settecento la gradinata era occupata dalle “carreghe” dei nobili del portico nuovo e nell’Ottocento dai venditori di uccellini e dai mediatori del carbone, ma anche dai cappellani per funzioni private, matrimoni, funerali e messe di suffragio.
Con la fine della Repubblica dogale nel 1797 cessa la celebrazione del voto dell’Immacolata e viene soppressa la Magistratura dei Padri del Comune. Per tutto il secolo successivo, con il governo rivoluzionario prima e con l’annessione della Liguria ai Savoia, San Pietro vede assottigliarsi i finanziamenti destinati alle manutenzioni.
All’inizio del Novecento la chiesa si trova in cattivo stato di conservazione e nel 1907 iniziano i necessari lavori di restauro. Vengono inoltre ampliati i locali sottostanti, è demolita la pavimentazione e le sottostanti volte di sostegno che ospitavano le sepolture dei nobili genovesi; dallo spazio ricavato si realizzano una sala e locali di servizio accessibili dal piano strada.
Nel 1913 si verifica un crollo nella cupola e la chiesa viene chiusa al culto, parte dei manufatti artistici è posta in salvo dalla Curia. Negli anni successivi alla prima guerra mondiale si susseguono accese dispute sulla proprietà della chiesa, che infine risulta appartenere alla Fabbriceria. Con il riscontro di nuove problematiche strutturali, si decide di trasferire la parrocchia ad Albaro e con essa la maggior parte dei beni mobili.
Durante la seconda guerra mondiale, il 15 novembre 1942, una bomba colpisce la facciata, che viene distrutta assieme ai campaniletti ed a buona parte della volta, mentre un’altra bomba “forò il tetto d’ardesie dell’abitazione del cappellano, sgusciò giù da una scaletta rovinandone i gradini e andò a posarsi colla punta ficcata nella calce del muro sopra il presbiterio”.
Già nel 1943 viene stilato un preventivo per il restauro, comprendente la demolizione di alcune coperture e murature e delle volte pericolanti della navata e del portico, la ricostruzione delle stesse in mattoni, opere di consolidamento con “siringhe di cemento e rena in vari posti”, l’inserimento di nuove catene in ferro, la ricostruzione in calcestruzzo del solaio dei locali sopra il portico e la ricostruzione dei campanili. I lavori procedono a rilento e con discontinui finanziamenti, tanto da imporre una semplificazione della facciata, in difformità dal progetto. Nel 1945 viene chiamato l’architetto Mario Labò a preparare un disegno per la nuova facciata.
Nel 1946 i Padri Missionari riaprono al culto la chiesa inferiore, o cripta. I padri chiedono inoltre autorizzazione all’utilizzo di parte dell’altare del Presepio, già smontato, per la realizzazione di un altare provvisorio nella cripta. Dal 1947 procedono i restauri, molti dei quali in riparazione degli interventi di cattiva qualità dei lavori precedenti e semplificando ulteriormente, per esempio evitando di ricostruire la cantoria nella controfacciata.
L’8 giugno 1952 la chiesa viene riaperta e il 20 giugno l’arcivescovo cardinale Giuseppe Siri riconsacra la chiesa: vi vengono riportate le opere e negli anni successivi vengono ultimati i lavori di restauro, in particolare nella terrazza anulare.
Nel 1982 la chiesa viene riconsegnata alla Diocesi di Genova.
Il 2 febbraio 1986 viene aperto il “Centro Banchi” e la chiesa viene ufficialmente riaperta al pubblico e al culto.