Natale: grottesco o illuminante?

di Matteo Moretti

Natale un’altra volta, Natale come al solito?

Il rischio è di cadere in una grottesca pantomima, come scriveva un giovane Leonardo Sciascia nel suo capolavoro Le parrocchie di Regalpetra… Nel bel mezzo di una Sicilia anni ’50 poverissima e dominata dal malaffare, dove perfino la dignità dei più piccoli veniva brutalmente calpestata, “il giorno della grande festa cristiana […] pare diventi, dietro questo bambino che piange nella sua casa oscura, una blasfema parodia”…

Ancora oggi, nonostante tanti addobbi e luci che vorrebbero mascherare o trasformare la realtà, il dolore e la prevaricazione sembrano farla da padrone… Siamo veramente condannati a vivere la recita di sempre, senza nessuna realistica speranza di cambiamento, senza una prospettiva nuova?

Anche il testo del Vangelo lucano, a dire il vero, ci delude: è una semplice cronaca disadorna, fatti storici affastellati l’uno via l’altro in un contesto di soprusi delle Autorità, che quasi si divinizzano, e di povera gente abbandonata a se stessa dai potenti di turno, accecati dalla brama di denaro. E qual è lo strumento per accrescere il dominio sui sudditi, ma soprattutto per rimpinguare le liquidità di Stato? Il censimento, naturalmente: un atto amministrativo che riduce ogni persona a un freddo numero e si lascia perciò sfuggire l’essenziale… Nei registri imperiali, così come nei databases dei Paesi moderni, ciascun individuo si converte in una cifra codificata, diventa niente. Anche Giuseppe e Maria rappresentano delle nullità totali alla mercé dei padroni del mondo, come tutti gli altri…

Ci si aspetterebbe almeno un guizzo di brillantezza e di atmosfera straordinaria all’arrivo del protagonista assoluto, l’Atteso delle genti, ed invece niente: quella nascita viene raccontata come la conclusione più ovvia e prevedibile di nove mesi di gravidanza, un neonato avvolto in fasce, nell’oscurità e fatiscenza più totali, col Divino accolto come una bestia, in mezzo agli animali…

Dunque è solo questa la storia di Natale? È tutta qui? In così poche parole, e così poco luminose e promettenti, si dice la nascita di Gesù? No, certo, essa non è tutta qui… Eppure, è anche qui. Natale ha anche questo volto, le sembianze dell’ordinarietà più insignificante, anzi questo fu il primo volto che quella notte presentò alla famiglia di Nazareth: un’ennesima occasione di penuria, di scarsità, di delusione; un ulteriore giorno mancante, rispetto alle attese. Questa cronaca disadorna, proprio perché così insistita da essere intenzionale, vela e insieme svela il messaggio più ardito e la più profonda verità: essa dice infatti paradossalmente il mistero grande custodito dentro la vita quotidiana, come il seme nella zolla… Nascendo da Maria, il Divino conosce anzitutto l’angustia della nostra condizione umana: quell’angustia che ineluttabilmente consegue al fatto d’essere uno dei tanti, d’inscriversi in un corso generale di eventi che purtroppo non presta attenzione al singolo; dobbiamo essere grati a Luca, che con la sua narrazione fredda, grigia e burocratica ha dato alla nostra fatica di vivere un così gran posto nel racconto del Natale!

Solo una volta guardata in faccia la realtà nuda e cruda, solo una volta preso atto che è unicamente nella nostra quotidianità difficile e tormentata che può aver senso un qualsiasi annuncio di rigenerazione, ebbene è solo allora che arrivano gli angeli, i quali portano luce proprio negli abissi più profondi di tutte le umane depressioni, fin negli anfratti più reconditi del nostro fragile essere: avvolgono di gloria luminosa i pastori, personaggi imbestialiti e dunque squalificati dal mondo e dalla religione, e fanno riscoprire loro tutto il potenziale divino di cui sono capaci, tutto il bello e il buono che possono realizzare se credono davvero che Dio nasce dentro di loro, se capiscono di non essere affatto dei reietti, ma dei miracoli ambulanti, abilitati a cose prodigiose… Ecco il vero colpo di reni, l’unica scintilla feconda che può darci l’energia per trasformare noi stessi, e dunque cominciare a migliorare il mondo!

Il primo passo, l’abbiamo capito, è immergerci seriamente nella realtà drammatica in cui viviamo, senza sconti e senza preconcetti… La vita è sempre nuova, che ci piaccia o no, e con ciò che accade dobbiamo costantemente fare i conti. È meglio affrontare la realtà fin da subito, perché ciò che oggi non vogliamo vedere, domani saremo costretti a considerarlo! Pensiamo alla tragedia sempiterna del Medio Oriente: Gaza, Libano, Siria… L’Onu stima che circa mezzo milione di bambini abbiano un disperato bisogno di

assistenza specializzata. Dagli esami psicosociali realizzati, molti fra i più piccoli stanno “perdendo l’istinto basilare di difesa”, cioè hanno tendenze suicide… Cresciuti a pane e bombardamenti, consci di poter morire in qualsiasi momento, membri di famiglie costantemente in lutto per una qualche nuova dipartita, per loro vivere o perire è ormai la stessa cosa… Per questi bambini, essere bersagliati e dover fuggire, fare i conti con l’angoscia tutti i giorni e a tutte le ore, è diventato così normale che, se feriti, non piangono più. Sono divenuti refrattari e insensibili, nulla causa più in loro dolore o entusiasmo… Sono davvero dei morti viventi. Ora, io vivo in Italia e posso dire: “Mi dispiace, ma in fin dei conti, la cosa è lontana e non mi riguarda. E poi, che posso fare?”. Ma ciò che oggi non prendi seriamente in considerazione, domani ti si ripresenterà con gli interessi! Bambini così, che hanno 5 o 10 anni, totalmente insensibili, per cui vivere e morire è lo stesso, fra qualche anno, con tutto l’odio e la rabbia che hanno covato dentro, potranno essere benissimo dei terroristi. E quando succedono fatti terroristici, tutti noi ci diciamo: “Ma com’è possibile?”… Eppure, ogni uomo è stato un bambino! Chi oggi risulta “grande” (il terrorista), un tempo fu bambino… E nessuno si ritrova in quei ruoli per caso: ci è “arrivato”, ad essere così! Ciò che oggi non vogliamo vedere, ci ritornerà con gravità ancora maggiore…

“Ma allora, come possiamo intervenire? Non è questa una situazione più grande di noi?”… Appunto, nella domanda è già insita la risposta: visto che non possiamo agire sul macro, dedichiamoci al micro! È questo il secondo passo, l’esercizio di una sana autocritica per la crescita e il miglioramento di me. Ognuno di noi può regalare al mondo qualcuno di nuovo: se stesso, più sviluppato in umanità e in consapevolezza delle proprie potenzialità divine, e dunque migliorato come persona… Alla fine, il Cristianesimo non è altro che questo: divinizzarsi progressivamente, incarnando sempre più la stessa umanità, la stessa empatia, la stessa accoglienza e lo stesso spirito di donazione che Gesù di Nazareth ci ha mostrato. Natale non è la memoria di un’incarnazione storica avvenuta oltre due millenni fa, ma è la piena coscienza che il Divino opera in noi e desidera incarnarsi continuamente, irradiando Bene attraverso le vite concrete di tutte le persone disponibili… Lo spiegava con efficacia Massimo il Confessore, grande Padre della Chiesa del VII secolo, nei suoi meravigliosi Capita theologica: “Il Verbo di Dio si è manifestato nella carne una volta per sempre. Ma, in chi lo desidera, Egli vuole continuamente rinascere secondo lo spirito, perché ama tutte le persone. Così, ridiventa bambino, e si forma dentro di loro con il progredire delle virtù”…

Questa è l’unica vera chiamata natalizia: riconoscere la forza divina incarnata nella nostra vulnerabilità e

quindi cominciare a crescere umanamente e a portare frutti! Si può sempre credere che è tutto inutile, che non fa per noi, che comunque non vale la pena impegnarsi… Possiamo raccontarcela anche quest’anno con innumerevoli scuse, ed in effetti è molto più comodo. Oppure stavolta prendiamo sul serio l’annuncio, e cambiamo la nostra vita!

Vi siete mai chiesti come fanno a legare un elefante? L’animale ha la forza per spezzare qualsiasi corda e per sradicare qualunque albero, eppure lo allacciano a un palo e lui rimane attaccato lì. Com’è possibile? Semplice! Fin da piccolo, la sua zampa è stata legata ad un sostegno con una corda robusta. L’elefante è piccolo, la fune è più forte e non riesce a liberarsi. Così, impara che la corda ha sempre la meglio: da adulto mantiene questa credenza, quest’idea dentro di sé, e così ogni volta che sentirà il laccio intorno alla zampa, penserà di non avere scampo… Non siamo noi quell’elefante? Non ci hanno forse insegnato che siamo deboli e impotenti? Non ci è stato consigliato di accontentarci, perché tanto non possiamo farci niente, né per noi stessi, né tantomeno per gli altri?

Hanno intervistato Simona Atzori, ballerina e pittrice a cui mancano totalmente ambo le braccia. Le hanno chiesto: “Ma dove trova la forza per fare tutto questo?”. Lei: “Un giorno, da piccola, mi sono guardata allo specchio e mi sono detta: “Così mi ritrovo, così vado bene”. Ho scelto di dirmi di sì, e da quel giorno tutto è cambiato”. Cosa può fare un sì vero e profondo alla nostra realtà! A 17 anni consegnò un suo dipinto a Giovanni Paolo II… Allora l’intervistatore domanda: “Lo sa che era dinnanzi a un Santo?”. “Sì!”. “E ha mai chiesto a Papa Wojtyla un miracolo?”. “No, mai! Sono già io, così come sono, un miracolo. I miracoli non si chiedono… Miracoli si diventa!”.

C’è una bellissima storia nella spiritualità degli Indiani d’America… Una sera un anziano capo Cherokee raccontò al nipote la battaglia che avviene dentro ognuno di noi. Gli disse: “Figlio mio, due lupi vivono nel nostro profondo. Uno è infelicità, paura, rassegnazione, risentimento, senso d’inferiorità. L’altro è felicità,

amore, speranza, compassione”… Il piccolo ci pensò un minuto e poi chiese: “Ma quale lupo vince?”. E l’anziano Cherokee rispose semplicemente: “Quello che nutri, quello che tu stesso alimenti!”.

Manca ancora un terzo passo: perché, se realmente mettiamo in gioco noi stessi per crescere in umanità, allora gradualmente vorremmo arrivare a trasfigurare in positivo l’intero mondo in cui viviamo, a rianimarlo e rinnovarlo per il bene di tutti… Ci potrà mai essere un altro modo per concepire le relazioni personali, sociali e politiche, oltre a quello che già conosciamo?

Ci sono due bambini di fronte a una sola mela, gustosissima. Che si fa? Ci sono varie possibilità per risolvere il conflitto. Le prime due vie hanno a che fare con il prevalere, sono il VINCERE ed il PERDERE: questo è l’ambiente tipico dell’odio, della violenza, della guerra, che consegneranno la mela al vincente e la sottrarranno al perdente. Uno prende tutto e l’altro resta a bocca asciutta… C’è poi la terza via, quella del RINUNCIARE o del ritirarsi, che è un bel modo di fuggire per non affrontare il problema ed ha esiti totalmente assurdi ed antieconomici: non ci si confronta mai e non si definisce nulla, l’unica mela resta inutilizzata e marcisce! Poi c’è la quarta via, il DIVIDERE: il frutto viene tagliato e condiviso, e già questa ci sembra una soluzione positiva… Perlomeno c’è considerazione dell’altro e pacificazione sociale, ma in realtà si tratta di un accontentarsi, senza riuscire a raggiungere l’ottimale. Esiste infatti una quinta via, il TRASCENDERE: significa trovare una soluzione al di sopra ed al di là del contingente, guardando oltre il proprio naso (o la propria mela!), in modo che ambo i bambini possano avere non solo una frutto intero a testa, ma molte mele! Per esempio: prepariamo una piccola torta con l’unico frutto, la mettiamo in palio in una lotteria e col ricavato compriamo più mele… Oppure: la apriamo, piantiamo i semi nella terra e col tempo avremo una piantagione di meli! La via trascendente richiede creatività e dialogo per la ricerca congiunta di tutte le possibili alternative, che spesso sfuggono ad uno sguardo poco lungimirante…

Johan Galtung, grande matematico e sociologo norvegese, fu l’ideatore della quinta via: negli anni ’90 ha

ricomposto la contesa fra Ecuador e Perù circa l’appartenenza di una grossa porzione di territorio sul confine, convincendo ambo i Paesi ad amministrare congiuntamente un Parco naturale “binazionale”, un modello virtuosissimo che rimane a futura memoria per molti dissidi territoriali e non solo… Nessuna vittoria o sconfitta, né rinuncia o divisione: si è applicata la logica trascendente, quella che davvero può trasformare il mondo! Ed ogni nostro piccolo cambiamento personale, ciascun passo avanti in umanità e giustizia da parte del singolo, incentiverà sempre più questo processo di rigenerazione planetaria…

Vorrei chiudere con un breve augurio che ho ricevuto, e che mi fa piacere condividere con tutti i lettori:

“Dio è molto più in una persona che in una preghiera. Dio è molto più in chi hai vicino che nelle altezze dei cieli. Dio è molto più in casa tua che in un qualsiasi tempio.

Dio è molto più dentro di te che al di fuori, qualsiasi bellezza esterna tu possa contemplare! Tutto questo, perché Dio si è fatto carne”.

E questo mi ricorda un aneddoto tratto dalla spiritualità orientale… In una fredda notte, un asceta errante cercò riparo nel tempio. Il sacerdote non voleva proprio farlo entrare, ma il poveraccio se ne stava mezzo congelato lì sulla neve… Allora gli aprì: “Solo per questa volta!”. Nel cuore della notte, il sacerdote sentì un forte scoppiettio… Sceso nel tempio, rimase costernato: l’asceta aveva bruciato la statua in legno del Buddha per riscaldarsi! A quel punto andò su tutte le furie, ma ormai rimanevano solo le braci ardenti… Comunque, prese l’asceta e lo cacciò fuori al freddo gelido; poi andò a letto con un rancore tremendo: “Pazzesco, guarda cosa si ottiene a fare il bene!”. Finché, dormendo, gli apparve il Buddha: era furente, livido dalla rabbia! “Hai ragione ad essere arrabbiato – disse il sacerdote – non avrei mai pensato che quel viandante si sarebbe spinto a una profanazione tanto grave”… E il Buddha: “Cosa vuoi che m’importi di questo? Sono furioso perché hai attribuito più valore a un pezzo di legno che a me! Ma non capisci che ero io, quell’uomo??”…

Buon Natale… Buona rinascita a tutti, nell’umanità più autentica!

Matteo Moretti, teologo, giurista e missionario

 

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